Questo tempo ci impone di risalire sulla barca rovesciata e guardarci dentro

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Stiamo vivendo una tripla crisi: quella biologica di una pandemia che minaccia indistintamente le nostre vite, quella economica nata dalle misure restrittive e quella di civiltà, con il brusco passaggio da una civiltà della mobilità all’obbligo dell’immobilità. Una policrisi che dovrebbe provocare una crisi del pensiero politico e del pensiero in sé. Forse una crisi esistenziale salutare. Abbiamo bisogno di un umanesimo rigenerato, che attinga alle sorgenti dell’etica, volendo potremmo chiamarlo un umanesimo planetario.

Se non puoi uscire dal tunnel arredalo!

Negli ultimi giorni alcune delle regioni italiane sono ricadute nel lockdown “soft” che ha gettato gran parte della popolazione in un tunnel di oscurità e smarrimento.

Ma il passaggio che questo tempo ci impone è quello di pensare che se non si può uscire dal tunnel è probabilmente giunto il momento in cui esso vada arredato.

In una emergenza nulla va dato per scontato. Ci troviamo di fronte ad una condizione in cui nessuna strategia dura più di una settimana; assistiamo continuamente ad un cambio di scenario e di normalità.

Nell’emergenza e soprattutto nelle fasi di lockdown collassano spazio e tempi. Tuttavia l’emergenza non giustifica il terremoto delle nostre vite.

Nel salto di paradigma è necessario trovare le proprie zone di quiete

Oggi stiamo vivendo un salto di paradigma dove il nostro stato di “normalità” sta cambiando. Ora più che mai risulta necessario trovare “zone di quiete”, utili per rimanere centrati.

Ciò su cui tutti dovremmo lavorare è un modello che per i prossimi due anni ci faccia navigare “sereni nell’emergenza” perché se ieri era Lehman Brothers, oggi è l’ultimo DPCM, domani chi lo sa.

La trasformazione, personale e/o delle nostre aziende, parte dalla nostra mentalità ed ormai tutti dovremmo aver compreso che è necessario rendersi indipendenti da qualunque lockdown.

La digital transformation sul cui terreno diverse aziende si erano già incamminate prima della pandemia torna utile in questo momento di incertezza; una sorta di copertina di Linus che non ci fa temere per il nostro futuro professionale, e non solo.

Programmati per risalire abbandonando lo sport del lamentarsi

Ciò che dovrebbe confortarci è il ricordare che siamo programmati per “risalire” benchè siamo anche l’unica specie che ha sviluppato la capacità di lamentarsi e, di conseguenza, di costruire alibi per non farlo.

Questa capacità (di risalire) si chiama appunto “Resilienza”, termine che deriva dal latino “resalio” che indica proprio la capacità di risalire su una barca rovesciata.

In alcuni momenti della nostra esistenza le condizioni sono avverse e allora diventa essenziale sapere come affrontare il mare in tempesta, sviluppare l’abilità di non far rovesciare la barca sulla quale navighi oppure saperci risalire sopra, se tutto ciò che hai fatto per evitare che si rovesciasse non ha dato i risultati sperati.

Nel suo etimo latino resalio (salio) significa saltare. Un verbo associato ad un’immagine precisa: saltare su una barca alla ricerca della salvezza. Una barca che magari s’è capovolta, fatto che comporta un’ulteriore prova di agilità. Tant’è che nelle varie interpretazioni di resilienza si arriva al verbo danzare.

Su questa linea di ricerca prende forma l’idea, in psicologia, di resilienza come capacità di fare un passo indietro e con una rincorsa superare una difficoltà mettendo in relazione creativa il corpo con lo spazio.

La capacità di ambientarsi e ridisegnare la propria normalità

Nel contesto storico attuale è il cambiamento la sola costante e “la crisi” non è più solo un evento sporadico ma ciclico e ricorrente; dunque la più importante delle competenze è la capacità di ambientarsi.

Ambientarsi non significa un adeguamento passivo al contesto ma piuttosto la capacità di ridisegnare la relazione con il proprio ambiente, valorizzando se stessi e il proprio contesto.

Dunque la resilienza non è la ricerca dell’equilibrio precedente bensì la capacità di mantenere la stabilità attraverso il cambiamento.

Identikit della persona resiliente

Proviamo a tracciare un identikit di una persona resiliente.

Perseveranza, umorismo, ottimismo, speranza, curiosità creatività, umiltà, empatia, gratitudine e altruismo sono le sue caratteristiche.

Le qualità che permettono ad una persona di superare le avversità in modo resiliente sono intuizione, indipendenza, creatività, umorismo, iniziativa, relazioni sociali e orientamento morale.

Inoltre lo psicologo e studioso statunitense Richardson (2002) propone quattro categorie in cui è possibile far rientrare le caratteristiche delle persone resilienti: spontaneità, etica, intuito e nobiltà d’animo.

Questo breve excursus sulle caratteristiche delle persone resilienti ci può essere di aiuto, nel momento attuale, per comprendere come aumentare la nostra capacità di resilienza.

Nietzsche affermava che ““Chi ha un “perché” può resistere a qualsiasi “come””.

Non siamo più chiamati a guardare fuori e guidare la carica, bensì a guardare dentro e rafforzare la propria organizzazione

La buona notizia, quindi, è che anche questa crisi può essere superata più velocemente se troviamo il senso che racchiude.

Molti imprenditori si sono sempre focalizzati sul predire come le cose sarebbero potute andare e, di conseguenza, scrivere un piano per riuscire ad avere successo in questo scenario.

Ora le cose sono differenti. Nessuno può realisticamente predire il futuro, il che significa che i leader devono accettare il fatto che il loro ruolo sta cambiando.

Il ruolo del leader è quello di preparare il proprio team, la propria organizzazione ad affrontare qualsiasi tipo di futuro.

Occorre bilanciare le soft-skill di un leader – autenticità, empatia e compassione – con quelle più dure (misura delle performance, financial drivers e definizione degli obiettivi).

In sintesi, per essere Leader, in un mondo incerto, si dovrebbe adottare l’atteggiamento mentale di chi cerca di imparare, sempre e per sempre.

Questa nuova era richiede leader forti e coraggiosi.

Persone disposte ad adattarsi, imparare e crescere mentre guidano. Persone disposte a sporcarsi le mani e dare l’esempio.

Gli ultimi mesi sono stati un ottovolante di reinvenzione. Ci troviamo a chiederci: “Cosa ci vorrà per presentarci e guidare efficacemente in questa nuova era?

Per guidare in questo mondo incerto, dobbiamo adottare una mentalità da “apprendista perenne” e trasformarci in leader adattabili con la prospettiva possibilista necessaria per condurre noi stessi e gli altri a nuove opportunità.

Guardati dentro e costruisci le persone, la cultura e i giusti valori a lungo termine che consentano loro di adattarsi e affrontare il futuro che si presenta.

In sostanza, il leader dovrà fare i conti con un profondo cambiamento: da qualcuno che ha guardato fuori e ha guidato la “carica”, l’armata, a qualcuno che guarda dentro e costruisce con cura organizzazioni durature.

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