Conosci il tuo Grande Perche’?

Qualche anno fa, chiesi alla mia coach austriaca di ospitarmi un paio di giorni presso di lei poiché avevo bisogno di ritirarmi per potermi dedicare al pensiero strategico. Durante le mie intense giornate, piene di “cose da fare”, di lavoro in emergenza, non riuscivo a concentrarmi sulla programmazione, sulla strategia di medio e lungo periodo.

Nel corso di una pausa, in quei giorni la mia coach mi chiese se conoscessi il mio “Big Why” e si stupì quando di getto le risposi di sì.

Ella volle a quel punto saperne di piu’.

Le risposi che sapevo anche il momento esatto quando avevo compreso il mio Grande Perche’. 

Nel Giugno 2012, in un giorno ben preciso, coincidente con la morte di mio padre, grande esempio per me e mio mentore, oltre che amore della mia vita. Ero in attesa del mio secondogenito ed alle 4 del mattino avevo sognato mio padre che veniva a salutarmi, mentre io dormivo.

Alle 5 del mattino di quello stesso lunedì il telefono squillò. Era mio fratello che mi disse soltanto “Ilaria, non c’è più, papà è morto”. Se ne era andato, nel sonno, a 65 anni, senza alcun preavviso. Lui che 12 anni prima aveva sconfitto un cancro micidiale all’intestino combattendo come un leone, subendo diverse operazioni, cicli di chemio e radio. A seguito della guarigione  aveva “cominciato una seconda vita”, soleva dire, fatta di mille impegni, coinvolgimenti sociali, politici, solidali. 

Papà aveva una grande paura, ammalarsi nuovamente e morire in conseguenza di atroci sofferenze. Dio, lo aveva chiamato a se’ nel sonno. Qualcuno la chiama “la morte dei giusti”.

Nei giorni a seguire in cui tantissima gente, un numero inimmaginabile di persone, venne a farci le condoglianze, accadde una cosa strana, che mi colpì: mi ritrovai non soltanto a ricevere messaggi di cordoglio, bensì ciascuno di coloro che mi approcciava sentiva l’obbligo di rendermi un pezzetto di mio padre raccontandoci il modo in cui da esso era stato aiutato o toccato: poteva essere stata una parola di conforto, un aiuto materiale, il reperimento di un posto di lavoro, il sostegno ad un figlio studente poco profittevole.

Io e la mia famiglia ci trovammo in quei giorni sommersi da una folla indicibile di gente, dalle loro storie, combinate a quella di mio padre. Nei giorni successivi, mentre scartabellavo le tantissime cartelle che papà aveva nella sua ventiquattrore, leggendone i titoli “persone da aiutare economicamente”, “persone alla ricerca di occupazione”, “studenti da sostenere”, mi fu chiaro il mio “Grande Perche'”: volevo seminare, bene possibilmente, costruire, nella maniera che la vita mi avrebbe concesso, non solo per me ma anche per gli altri, per la comunita’, la societa’ in cui ero inserita.

Mio padre non era un atleta affermato o un attore di grido, ma nel suo piccolo aveva fatto la differenza e lasciato un segno: il seme di una famiglia ben radicata, ed un segno in tante altre persone, in quelle, tante, che era riuscito a “toccare”, grazie alle attivita’ che aveva intrapreso nella vita.

La vita mi chiamava a farlo nel mio essere donna, mamma, amica, compagna, sorella, leader; potevo farlo, supportando i miei collaboratori, i familiari, i miei figli, gli amici ad evolvere, a passare ad un livello successivo ed a guardare questa Vita sempre con immensa gratitudine.

Nell’ambito della mia riflessione, a Vienna, ormai tempo fa, sul mio Big Why, mi venne alla mente un film con Will Smith: Collateral Beauty – Noi siamo qui per un Contatto!

La vita riguarda le persone e noi siamo qui per costruire e migliorare la vita delle persone, non solo la nostra! 

Ogni cosa che vogliamo o che abbiamo paura di ottenere viene da queste 3 verità: Noi desideriamo l’amore, vorremmo avere più tempo e temiamo la morte.

Questa parte del film appena citata racconta un’ossessione del protagonista, toccato dalla perdita della figlia. Egli costruiva dei domino. E cosa succede al domino? Se i pezzi non sono tutti allineati nella giusta maniera, bhè l’effetto domino viene vanificato.

La Vita chiama tutti a fare la propria parte. Ma siamo veramente pronti al Cambiamento? Cio’ che siamo chiamati a fare è un passaggio importante!

Dobbiamo essere pronti al cambiamento, soprattutto quando è necessario, quasi da non esistere alternative!

E per passare al livello successivo, per evolvere, molto spesso è necessario lasciare andare, relazioni stagnanti, lavori insoddisfacenti, amici tossici.

C’è un prezzo da pagare, ed e’ quello per “essere felici”: ma prima di tutto c’e da capire se si e’ pronti a pagarlo.

Ed Essere Felici non significa accontentarsi, ma avere il coraggio di cambiare!!

Felicita’ questa sconosciuta

Sentiamo continuamente parlare di felicità ma qual è il significato autentico di questa parola? Felicità non è sinonimo di contentezza, sono agli antipodi: i due termini non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro, sebbene vengano spesso utilizzati come sinonimi. La contentezza presuppone un accontentarsi e, quindi, il rimanere contenuti, soddisfatti di ciò che si è ed ha. Un po’ come quando si dice,  “accettati come sei o accettati per quello che sei“, affermazione oggi molto in voga, che forse andrebbe messa in discussione.

La  felicità, quella autentica, ci costringe a cambiare e a rompere con il passato. Una persona è davvero cambiata quando non riesce più a spiegare perché fino ad allora si è comportata in un certo modo. Una persona ha veramente smesso di fumare, per esempio, quando non si ricorda più perché fumava. D’altra parte, è un passaggio che fa paura perché se rompi col passato non torni più indietro.

E se abbiamo paura della felicità è proprio perché abbiamo paura di rompere i ponti col passato.

Nessuna storia senza ricerca della felicita’


Se non c’è ricerca della felicità non c’è storia. Adamo ed Eva non hanno avuto storia finché sono stati contenti. Quando hanno deciso di voler essere felici tutto ha avuto inizio.

Nella letteratura contemporanea la ricerca della felicità sembra essere scomparsa, perché siamo sempre più indottrinati dalla logica del pensiero positivo, e quindi dall’idea di doverci accontentare dello status quo in quanto esseri perfetti così come siamo.

Ma finchè l’uomo vive “contento”, quindi sereno, tranquillo, “senza problemi”incasellato”, come Adamo ed Eva nel loro Eden, non è felice, ma si accontenta. Quando capisce di voler essere autenticamente felice, inizia a Vivere. La felicità se’ quindi qualcosa che non garantisce una vita all’insegna del benessere e della tranquillità, ma una vita VITA, con tutto ciò che questa scelta coraggiosa comporta.

Tornando al significato del termine “felicità”, esso deriva dal latino felix, che indica una persona che genera cose nuove, perché quello che ha non le basta. Pertanto, essere felici non significa “stare bene” o “essere contenti“, sembra piuttosto che abbia a che vedere con il cambiamento, strada più articolata e complessa rispetto a quella della contentezza.

 Perché non è detto che essere felici significhi avere una vita comoda, rilassata, facile, sicura. Potrebbe essere esattamente il contrario. 

Una umanita’ in crociera perenne

Avete mai visto il cartone della Pixar “Wall-E”? L’umanità, in perenne crociera su una flotta di navi spaziali gestite da una grande azienda commerciale che governa il mondo, e che vuole impedire agli uomini di tornare sulla Terra, appare totalmente assoggettata alla logica dello “stare bene”. Pigra, informe, flaccida, si sposta su poltroncine tecnologiche, non dialoga se non attraverso lo schermo di un simil-tablet, nutrita a suon di spot pubblicitari. Talmente abituata alla comodità da non aver abbastanza forza per cambiare e per porsi domande. Vi ricorda qualcosa? Gli umani di Wall-E sono apparentemente felici perché hanno tutto il necessario, e il superfluo, per vivere comodamente e si illudono che nel frattempo, sul pianeta Terra, “qualcuno” sistemi i danni dell’inquinamento, rimanendosene fermi sulle proprie poltrone.

L’umanità di Wall-E ignora il concetto di felicità, confondendola con l’appagamento dei sensi, con la comodità, con il benessere, termine che il dizionario descrive così: “stato di buona salute fisica e psichica, felicità”, e come “prosperità economica, agiatezza: vivere in condizioni di b. || società del b., quella occidentale, caratterizzata da agiatezza collettiva e un elevato reddito pro capite“.


L’umanità di Wall-E riscopre l’autentica felicità quando l’ultimo, e vecchio, robot rimasto sulla Terra, decide di inseguire il suo grande amore, la robot Eve, proveniente dalla nave spaziale avanzata, sconvolgendo gli equilibri del “pianeta” spaziale. E’ grazie ai problemi scatenati dall’arrivo di Wall-E sulla nave che l’uomo pasciuto e pigro, costretto dalle circostanze difficili, si risveglia, comprendendo di essere vittima di un imbroglio e di desiderare ancora la Vita con la V maiuscola, a costo di perdere qualunque comodità.


In definitiva quello che dovremmo chiederci ogni giorno è se, in nome della Felicità, e quindi di una vita piena, una vita VITA,  saremmo disposti a rinunciare ai nostri agi economici e psicologici, alle nostre certezze, ai nostri punti di vista, alle strade asfaltate da altri, alla nostra stessa mentalità. Siamo disposti a rischiare? Oppure non siamo pronti a lasciare andare? Vogliamo restare nella nostra  scatola, perché non siamo pronti al cambiamento?! Ma ricordate che di scatola si tratta!!!

Il cambiamento – concetto che dovrebbe accompagnare tutta la nostra Vita

Qualche giorno fa, mentre stavo analizzando i dati di crescita dei Paesi con cui ho l’onore di lavorare, mi sono chiesta, come del resto mi capita, perche’ continuassi a innovare, a studiare nuove formule, abbracciare nuovi progetti e servizi per supportare le persone, i professionisti con cui ho a che fare ogni giorno. La risposta, in realta’, la conoscevo gia’.

Io voglio continuare a costruire qualcosa di “grande”, che resti dopo di me, anche solo come memoria in coloro che mi hanno vissuto.

Basta un solo passo avanti

Avevo un insegnante di italiano al liceo, scomparso prematuramente per un incidente, che mi diceva sempre che il cambiamento in realtà è la cosa più facile da superare: io sono qui, ora, con la paura del cambiamento, che si trova davanti a me. Faccio un passo in avanti, ed ho lasciato la paura alle spalle.

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