Come fanno le persone ad ottenere buoni lavori?

Un giorno al termine di una conferenza sul mercato immobiliare a cui i maggiori player del settore avevano partecipato mi sono ritrovata in taxi con uno dei relatori che, come me, erano stati chiamati a condividere le previsioni del prossimo futuro.

Egli era un giovane professionista.

Il “collega”era molto incuriosito dalla motivazione che mi aveva indotto a lasciare  l’azienda in cui lavoravo da decenni e in una posizione apicale. Gli raccontai quindi le motivazioni  e come la possibilita’ di diventare azionista della societa’, di lavorare con la base della piramide del mercato del real estate, gli agenti immobiliari, e potenziarne la crescita, e il poter svolgere questo lavoro a livello internazionale mi entusiasma e appassiona.

Iniziammo quindi a parlare di business, di come si possa fare un lavoro che si ama ed essere anche pagati per questo.

Ad un tratto il giovane mi disse:”Ilaria come si puo’ avere un buon lavoro quando si diventa piu’ grandi? Come fanno le persone ad ottenere buoni lavori?”

Questa domanda mi fece pensare al cosiddetto “sogno americano”, ormai così attuale anche in questa parte del mondo.

“Come posso arrivare a guadagnare bene per la mia famiglia?!”

Questa domanda mi fece riflettere su una questione molto più ampia, sulla “Mobilita’ sociale”, intesa come abilita’ di muoversi da un livello della societa’ ad un altro.

La domanda postami era in realtà “LA DOMANDA”! Come fanno le persone ad ottenere buoni lavori?

Nei giorni successivi a questa conversazione comincia quindi a fare delle ricerche, intervistando bancari, ingegneri, architetti, avvocati, operatori  finanziari, insomma, persone che la societa’ definisce come “aventi un buon lavoro”.

Chiara, per esempio, insegnante ma in seguito dimessa per andare a lavorare per una PR company, perché quello era il suo sogno.

Rebecca da impiegata di direzione, si era dimessa per tornare a studiare e diventare una copywriter. 

Infine intervistai Pietro, che da ingegnere nel settore pubblico si era dimesso dall’impiego statale per inseguire il proprio sogno di libero professionista per occuparsi di nuove costruzioni ecosostenibili.

Una delle conferme che ebbi, quindi, ascoltando le persone summenzionate e molte altre, fu quella che per ottenere un buon lavoro, che ci soddisfi, economicamente e non solo, occorre sicuramente lavorare sodo.

Questa e’ una delle chiavi del “successo”, ma non la sola e non la primaria.

Dalla conversazione con il mio giovane collega era emersa un’altra cosa, percepita ma quasi nascosta e che riuscivi a scovare solo scavando un po’ piu’ a fondo, comune a tutte le storie che avevo ascoltato. Io lo chiamo “E Poi”

Cerchero’ di spiegare meglio:

Chiara raccontò che era un insegnante e successivamente si dimise per andare a lavorare per un’importante PR company dove il padre del suo fidanzato lavorava.

Rebecca da impiegata si dimise per tornare a studiare e diventare copywriter grazie ai genitori che furono disponibili a sostenerla nei mesi in cui tornò sui banchi di scuola.

Pietro si dimise da un impiego pubblico per costruire la propria carriera di libero professionista grazie alla moglie che lo supportò e provvide alla famiglia nei primi due anni di della sua attivita’ autonoma.

“I Momenti E poi”

Ecco, io ho chiamato questi momenti:”Momenti E Poi”.

I Momenti E poi sono persone che sbloccano risorse, conoscenze ed opportunita’ che ti consentono di fare cio’ che desideri fare.

In quel momento mi ricordai la fortuna che ebbi ad avere davanti agli occhi i “Momenti e poi” di mio padre.

Egli nacque da una famiglia poverissima, ma fin da piccolo risulto’ uno studente brillante. Una sorella di suo padre, nubile, che prestava servizio come dama di compagnia ad una vedova signora danarosa della citta’, ascoltando i suggerimenti della sua datrice di lavoro che colse le capacita’ di mio padre, lo sostenne economicamente nei suoi studi. E andando ancora a scavare come era riuscito nella sua vita a costruire diverse opportunità di consulenza, politiche e di business, mi resi conto che un ruolo fondamentale avevano giocato tramite relazioni, su relazioni, su relazioni, che avevano sbloccato il “momento”.

Pertanto un’altra vera domanda e’: cosa accade quando non avete accesso a questo tipo di relazioni?

A quel punto non potevo fermarmi e approfondendo le mie ricerche compresi come mio padre ebbe l’occasione’ di avere la chiave per sbloccare le opportunita’ e questa prima chiave aveva il nome di sua zia Lucia.

Io ho avuto l’opportunita’ di essere ricercata per questo ruolo nell’attuale azienda perche’ qualcuno ha parlato di me e delle mie capacita’ al mio capo nel corso di una cena a Las Vegas. Questo “qualcuno” e’ un ex collega, divenuto in seguito amico.

Le interviste hanno rivelato che le opportunità si sbloccano attraverso le relazioni e nel mondo del lavoro ci troviamo sempre di fronte a porte da sbloccare.

Non conta quante porte hai da aprire bensi’ sapere quante chiavi hai a disposizione.

Ma la cosa fondamentale non è avere porte da aprire, bensì sapere quante chiavi si hanno per passare attraverso le porte che ci si parano davanti nella vita.

Ciascuno di noi nasce drasticamente con un diverso numero di chiavi e l’importante e’ sapere quante chiavi si hanno nel proprio portafogli.

Gli americani hanno dato un nome a questo fenomeno: “Economic connectedness between the rich and poor”: le societa’ di tutto il mondo sono frammentate e polarizzate, con scarsa interazione tra linee razziali, politiche e di classe.

Ma siamo tutti consapevoli che facciamo cose migliori se siamo connessi e vi e’ interazione tra le classi!

Purtroppo viviamo in una societa’ dove la divisione in classi e’ molto netta`; le persone con un buon lavoro frequentano persone con un buon lavoro e viceversa.

Questo porta persone con molte chiavi a vivere e lavorare con persone con molte chiavi e persone con poche chiavi a vivere e lavorare con persone con poche chiavi. La conseguenza e’ che le nostre citta’ sono relazionalmente isolate e le opportunita’ sono isolate. Siamo portati a pensare che le opportunita’ sono un “zero-sum game”, ovvero un “gioco a somma zero” che, nella teoria dei giochi descrive una situazione in cui il mio guadagno porta alla tua perdita e viceversa.

Ogni qualvolta perdo una chiave, ne avro’ una in meno finche’ arrivero’ ad averne zero.

Ma l’opportunita’ che tutti noi attualmente abbiamo, in realta’, e’ diametralmente opposta: possiamo capitalizzare!

Quando entro in una nuova azienda ed ho 15 colleghi nuovi, ecco ho 15 nuove chiavi; quando i miei figli iniziano la scuola e conosco altri 20 genitori, ho altre 20 nuove chiavi. Pertanto, quando do una chiave in realta’, non ne ho una in meno, ma molte in piu’!

I “Momenti e poi” non sono un gioco a somma zero ma sono una capitalizzazione.

Stavo tenendo una sessione di coaching di gruppo per un team aziendale ed ho parlato dei “Momenti e poi” ed ho chiesto al gruppo di condividere i propri.

Nella stanza, per 5 minuti, e’ calato il gel!

Ad un certo punto uno del gruppo si e’ alzato ed ha condiviso i propri, e quindi a seguire lo ha fatto un altro e un altro ancora. Ho lasciato che il CEO dell’azienda condividesse per ultimo i propri.

In quella sessione, tra quel gruppo di persone/colleghi, si e’ creata una connessione unica, una intimita’ speciale. 

Questo perche’ la vulnerabilita’ favorisce la vulnerabilita’.

Ecco perche’ voglio condividere con voi i miei “and then moments”!

Decisi di studiare giurisprudenza all’università e lavorare contemporaneamente: vendevo polizze assicurative nell’agenzia dove mio padre era socio. 

Le sue connessioni mi hanno consentito di poter diventare giornalista pubblicista per un quotidiano locale e, da li’, entrare in contatto con il sindaco che mi ingaggio’ come addetto stampa. In quel ruolo la mia conoscenza della lingue inglese (avevo soggiornato e studiato negli Stati Uniti) mi consenti’ di entrare in contatto con un’azienda americana che era venuta a colloquio con la pubblica amministrazione per sviluppare un progetto di riqualificazione immobiliare nel luogo e diventai direttore di un teatro che l’azienda costruì. altre conoscenze in quel ruolo mi portarono a diventare area manager per una societa’ di gambling (sale bingo e slot machine) e trasferirmi a Roma e fare carriera in azienda. A Roma conobbi il padre dei miei figli e mi trasferi’ pertanto a Milano per seguirlo. Approccia un colloquio in RE/MAX Italia tramite un’altra chiave, una conoscenza di mio padre.

And then, and then, and then. Potrei continuare ancora.

Conosco e ricordo i nomi di tutti i miei “and then moments”

Mio padre ha utilizzato bene le sue chiavi; una cosa che ho dimenticato di raccontare e’ che egli ha ritenuto doveroso restituire alla societa’ e alla propria comunita’ cio’ che aveva ottenuto dalla vita, cosa che cerco di fare anche io, perche’ il successo non e’ completo se non si restituisce al mondo cio’ che da esso si e’ ricevuto di buono.

Perche’ ho ricevuto cosi’ generosamente voglio condividere con voi con la stessa generosita’, e voglio lasciarvi due capisaldi: il primo siate generosi con le vostre chiavi e secondo siate  generosi con la vostra intera storia e condividete i vostri “and them moments”.

Siate vulnerabili e condividete con i vostri figli o colleghi i nomi delle vostre chiavi, perche’ piu’ siamo aperti e vulnerabili reciprocamente, piu’ possiamo connetterci agli altri e creare fiducia. Piu’ raccontate la vostra storia, piu’ persone potranno prosperare ed evolvere grazie alla vostra generosita’ nel raccontarla.

Gli “and them moments” hanno il potere di cambiare aziende, organizzazioni e citta’.

#vision #leadership #SUCCESS #createyourway #andthenmoments

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